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La fine dell’anno ci fa fare alcune considerazioni sui modelli di comunicazione che sono stati adottati dalle aziende per informare o pubblicizzare i loro prodotti o attrezzature. La pandemia ha accelerato i tempi e anche i sistemi di comunicazione, siano essi cartacei, digitali, multimediali o televisivi, devono seguire un  trend così velocemente per mantenere l’interesse del consumatore. L’impatto che Internet, telefonia mobile e mass media hanno avuto nelle nostre vite nel corso della pandemia è sotto gli occhi di tutti, ormai abbiamo a che fare con la “rete” per studio, lavoro o diletto. La comunicazione è la chiave di tutte le relazioni forti, sane e produttive, comprese quelle professionali. Il modo in cui qualcosa viene comunicato è importante quanto quello che viene comunicato. Purtroppo dobbiamo rilevare come chi usufruisce dei servizi di internet non segue questa regola, questo però fa parte del sistema (chiamata libertà di espressione), quello che invece fa specie è che siano molti gli organi d’informazione che non esprimono più quella che è la loro principale funzione: comunicare in modo oggettivo, la professionalità si limita all’aspetto grammaticale più che ai contenuti,  anzi registriamo un’assuefazione, un impoverimento culturale preoccupante di chi si occupa del settore.  Si dice che comunicare è un’arte, sicuramente lo è se fatta in un certo modo. Con l’avvento delle piattaforme social molti interagiscono virtualmente, assistiamo a un’inflazione di informazioni, notizie vere o false, pressapochiste e poco interessanti, anzi futili, permesse grazie alle varie piattaforme, che hanno consentito a tanti di mettersi in mostra ed esprimere la propria opinione con la convinzione che i contenuti immessi in rete rappresentino informazioni utili. In realtà la maggior parte di questi messaggi passa inosservata e pochi sono quelli che riescono a incidere e lasciare una traccia. Di certo è che se parliamo di futuro della comunicazione, questo non lo è di certo, o almeno, interessa poco o nulla alla maggior parte delle persone e in particolare alle aziende, anche se molte di queste si limitano a valutare la bontà di un portale o di un post per il numero dei “click” o di mi “piace”. Se l’importante è il numero, poco importa se questo è costituito da una moltitudine di individui che non saranno più di tanto interessati a quel tipo d’informazione, alle idee espresse o al prodotto pubblicizzato, quello che conta è poter esprimere un’opinione o far valere la propria presenza in una finestra pubblica. Il massimo dell’autoreferenzialità, esattamente l’opposto dell’obiettivo della pubblicità e del marketing moderno.
È indubbio che i social network hanno anche dei vantaggi come la libera condivisione delle informazioni, la possibilità di comunicare in tempo reale con qualcuno lontano migliaia di chilometri. I social sono anche utili sul fronte lavorativo sia per pubblicizzare la propria attività sia per intraprendere una carriera tra le nuove figure professionali del web che sono sempre più richieste.
Nell’era della trasparenza se le aziende scelgono di comunicare, lo fanno attraverso il social digital marketing (insieme di tecniche e di strategie che hanno l’obiettivo di promuovere online un prodotto o un servizio, avvalendosi di tutti gli strumenti e canali digitali attualmente disponibili), evidenziando la loro capacità imprenditoriale, la solidità strutturale, di essere credibili nel proporre prodotti, sistemi, attrezzature e servizi.
Lo sviluppo di piattaforme internet, ha modificato profondamente il rapporto tra consumatori e brand, per i quali la tradizionale strategia di marketing è meno efficace. Per l’utente medio i social media occupano il 33% del tempo trascorso online, TV e streaming il 16%, stampa digitale il 13%.
Tutto cambia, tutto si evolve, tutto si velocizza. La comunicazione dei brand nel corso degli anni ha assunto molte forme diverse ma tutte hanno da sempre avuto l’obiettivo di creare relazioni di valore con il cliente. Dai canali tradizionali offline ci si è spostati sempre di più verso quelli online, grazie alla loro caratteristica di dare corpo ai brand e avvicinarli al proprio pubblico. In questo senso i social media possono rappresentare un’opportunità se ben strutturati. La rappresentazione del reale è un’esigenza non più rimandabile. L’attuale modello è quello di rappresentare un contesto accattivante, cartaceo, digitale, video poco importa, che apparentemente abbia poca rilevanza con il prodotto da evidenziare, ma che intercetti l’attenzione del consumatore e solo alla fine presenti il prodotto o il servizio ad esso abbinato. Di esempi ormai ne abbiamo molti: dalle banche ai più grandi produttori di bibite. L’obiettivo finale è quello di rendere l’annuncio pubblicitario meno intrusivo in modo che non interrompa la fruizione del contenuto che l’utente sta guardando. È un sistema questo distante dal Pubbliredazionale classico, che invece cerca di mascherare i contenuti pubblicitari come articoli editoriali su prodotti o servizi. In sostanza l’approccio verso questa forma pubblicitaria ha un fine informativo piuttosto che promozionale. E questo – forse – la rende più credibile.
All’interno del “mondo online”, uno strumento che negli ultimi tempi ha visto un aumento di interesse è quello del video. Il potere del video è molto forte per la sua natura di creare uno storytelling dinamico (l’arte di narrare) che attiri e trattenga l’attenzione di chi lo guarda (il 92% della popolazione italiana guarda video online). La TV è un ottimo strumento per comunicare, utile alle aziende per informare la platea dei consumatori, ma è anche un pericoloso deterrente se questa comunicazione non rispetta certe regole, oppure non è fatta in modo professionale. Non deve solo rappresentare uno strumento di persuasione, ma un suggerimento pratico, utile, che faccia capire a chi guarda quanto potrebbe essere utile la rappresentazione della soluzione a problemi specifici. Altrimenti rimane un messaggio autoreferenziale o per pochi adepti.
Tutta questa digitalizzazione delle informazioni, della pubblicità televisiva più o meno occulta, che gratifica chi lo fa o chi lo commissiona, ma che non riesce ad incidere più di tanto sul consumatore, decreta la fine dell’informazione e della pubblicità cartacea?  Assolutamente no! Anzi le riviste cartacee hanno visto un incremento negli ultimi tempi. Un esempio l’abbiamo dai tanti format televisivi a cui hanno fatto seguito magazine cartacei. Quindi, la “carta” rimane la “base” (o nel caso della TV la logica conclusione) dell’informazione, del marketing, e della pubblicità a patto che tutto ciò sia di qualità e rispetti i nuovi canoni della comunicazione: non autoreferenzialità e contestualizzare la notizia inserendola in un racconto che non solo attragga il consumatore, ma gli offra possibili e concrete soluzioni alle sue specifiche esigenze.

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