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Tutti ormai sono orientati a risolvere il problema del riscaldamento globale. C’è chi da la colpa principale ai trasporti pubblici e privati, chi invece sostiene che l’industria e il riscaldamento domestico contribuiscano in modo notevole, altri invece individuano entrambe le cause come principali e che sia necessario abbandonare i combustibili fossili. Ognuno dice la sua e ovviamente le varie associazioni in difesa dell’ambiente chiedono l’azzeramento di tutte le emissioni nocive in atmosfera. A tutti questi si aggiungono poi i vari report internazionali effettuati da qualificati e importanti istituti scientifici che studiano, analizzano tutti i fenomeni e alla fine suggeriscono soluzioni che arrivano ad interessare le generazioni future, addirittura fino al 2100. Noi ci occupiano d’informazione, possibilmente corretta, e il nostro compito è quello di analizzare tutti questi aspetti per farci un’idea e a alla fine esprimere una sintesi credibile, ma anche percorribile. Ovviamente anche la nostra visione è opinabile, ma sicuramente è scevra da ogni pressione di parte.
Il titolo di questo articolo parla di auto inquinanti, ma quanto contribuiscono le emissioni dei trasporti al riscaldamento globale? L’Agenzia europea dell’ambiente in un suo report comunica che oggi le emissioni dei trasporti rappresentano circa il 25% (70% veicoli e il 30% marittimo e aereo – ndr) delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’UE.
Il nostro obiettivo di essere il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 richiede cambiamenti ambiziosi nel settore dei trasporti. È necessario un percorso definito con chiarezza per conseguire una riduzione del 90% delle emissioni di gas a effetto serra legate ai trasporti entro il 2050. Questi sistemi sono profondamente integrati nel nostro stile di vita e non si possono modificare da un giorno all’altro. Allora tutto si concentra sui mezzi di trasporto e poco o nulla sul resto, come se questo “resto” fosse marginale.
Una notizia però ci ha particolarmente colpiti, pubblicata sul Sole 24ore del 21 ottobre 2021 – Non solo CO2: il mondo deve bloccare le fughe di metano. Si parla di fughe di questo gas dagli impianti di estrazione trasporto e stoccaggio. In base ai calcoli della Iea, le operazioni estrattive di idrocarburi hanno rovesciato in atmosfera ben 70 milioni di tonnellate di metano solo nel 2020. Sfiati e perdite che riguardano sia gli impianti russi sia americani e australiani. Sono stati individuati rilasci frequenti e intenzionali, noti nel gergo petrolifero come “venting”, ovvero “sfiato”. Questi eventi erano legati alla manutenzione programmata e sono stati debitamente segnalati alle autorità competenti.Tutti questi sfiati potrebbero essere evitati in modo semplice ed economico utilizzando pratiche operative alternative.
Identificare e bloccare queste perdite potrebbe fare di più per contenere l’emergenza climatica rispetto a ogni altra singola misura che prenderemo da qui al 2030, visto che il metano è un gas serra 80 volte più potente della CO2.
In base all’ultimo rapporto dell’Ipcc, il metano di origine antropica è responsabile di un quarto dell’aumento delle temperature dall’epoca pre-industriale e quasi un terzo del surriscaldamento previsto nei prossimi decenni potrebbe essere evitato dimezzando le emissioni di questo gas. Sempre secondo l’Ipcc, basterebbe aumentare il taglio al 50% per ridurre di 0.3°C il surriscaldamento entro il 2040 e di 0,5°C entro il 2100, questo renderebbe molto più raggiungibile il target di 1,5°C dell’Accordo di Parigi.