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Una dopo l’altra la maggiori case automobilistiche declinano cali consistenti di vendite di veicoli, USA e Europa in primis, tanto da dover correre ai ripari. Comnciano a cadere le teste dei maggiori manager che non hanno saputo far fronte al prevedibile calo delle vendite, dopo aver sposato sistematicamente la produzione di veicoli elettrici, con investimenti miliardari.  La Cina ha scombussolato le carte immettendo sui  mercati, anche quello europeo, veicoli con costi nettamente inferiori, a parità di condizioni tecnologiche, insostenibili  per l’attuale produzione europea.
La miopia dell’Europa che in virtù di un accanito contenimento delle emissioni ha preso provvedimenti che, oltre a non essere effcaci  come previsto, hanno contribuito ad abbattere le industrie della filiera automotive in Europa. Annunciati licenziamenti di personale a migliaia da parte dei più grandi gruppi automobilistici tedeschi, altrettanti messi in cassa integrazione in Italia. difficoltà e riduzione delle produzioni in Belgio, idem per la Francia,  con  Renault che addirittura vende una consistente quota di azioni ai partner asiatici, per non parlare di Stellantis crollata a livelli mai raggiunti negli ultimi anni tanto da ipotizzare l’allontanamento dell’attuale AD e soluzioni finanziare, con il coinvolgimento di Fiat e Peugeot, per recuperare quote di mercato. insomma una debacle della quale non si vede la fine, almeno per il momento.
In questo clima di sgomento, qualcuno ha ipotizzato collaborazioni con le industrie cinesi, ma chi ha già fatto quell’esperienza non pare abbia risolto i propri problemi, anzi ha evidenziato ancor di più le carenze tecnologiche sui veicoli elettrici e sotto l’aspetto commerciale rispetto ai mercati asiatici, e in particolare quello cinese. Così, invece di risolvere il problema delle risorse interne, ci leghiamo ancora di più alle decisioni cinesi, con tutte le prevedibili conseguenze di una irreversibile depauperazione delle risorse interne d’Europa.
Ora tutti corrono ai ripari, anche se era evidente che le disposizioni europee avrebbero creato più problemi che benefici. L’auto elettrica è stata spinta sui mercati sostenendo che quella era l’unica soluzione percorribile per abbattere l’inquinamento atmosferico, senza fare i conti con l’intero processo di produzione e, soprattutto, senza tener presente quello che avrebbe comportato la dismissione di oltre cento anni di ricerca e sviluppo di un prodotto che è diventato, soprattutto negli ultimi anni, parco nei consumi e nell’inquinamento atmosferico, a fronte di veicoli a batteria che non hanno mai risolto il problema di molbilità alla fine del novecento e primi del secolo scorso. Bastava una breve lettura sulle origini del veicolo elettrico per rendersene conto. I problemni di allora sono anche quelli dei veico0li elettrici di oggi, moltiplicati per  mille, centomila, anzi con le nuove batterie al litio sono sempre più frequenti gli incendi dei veicoli e delle strutture che li tengono in deposito.
Le alternative ci sono, ma nessuno ha avuto la forza di spingere l’Europa verso quelle maggiormente percorribili che non affossassero le decine di anni di ricerca e sviluppo delle industrie europee, con tutte le conseguente che oggi tutti ben sappiamo. Accenni di alcune lobby che non hanno inciso più di tanto.
C’è voluto il drammatico calo delle vendite, il mercato ha dettato la sua legge, e adesso tutti a correre per dimostrare che l’avevano detto, che la Transizione era un esercizio teorico basato sugli incentivi statali, finiti i quali anche i paesi con la maggiore penetrazione di veicolli elettrici circolanti cominciano ad avere problemi.
I Governi si sono adeguati anche con alcune riserve, come l’Italia, che ha posto seri dubbi sulla validità dei provvedimenti Europei, (siamo fra i maggiori produttori di componentistica per motorizzazioni endotermiche), anzi alcune amministrazioni, come quella di Milano, ne hanno approfittato per creare la zona “B” (oltre quella centrale “C”), per inibire l’ingresso in città dei veicoli di non recente immatricolazione, ovviamente salvo pagamento di un ticket d’ingresso. Puro e semplice fattore commerciale.
Tutto questo dimostra opportunismo puro e semplice scevro da idee proprie circa l’evoluzione dei mercati, della tecnica e dei paesi che la ospitano.
Adesso, siano curiosi di vedere cosa succede, siamo solo alll’inizio.

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