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I Presidenti Francesco Buzzella (Confindustria Lombardia), Pietro Ferrari (Confindustria Emilia-Romagna), Marco Gay (Confindustria Piemonte), Enrico Carraro (Confindustria Veneto) esprimono sconcerto e preoccupazione in merito alle ultime dichiarazioni del Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica – CITE sulla transizione tecnologica della filiera automotive. Questa è la nota diramata.

“A preoccupare, in particolare, è la mancanza di una progettualità chiara che consenta alle migliaia di aziende italiane del settore di adeguarsi gradualmente all’imposizione dell’Unione Europea di procedere con l’elettrificazione dei motori abbandonando completamente la combustione”.

Ma come! 13 anni di tempo per la transizione non sono ritenuti graduali? Chiunque rileva un’anomalia in un’affermazione del genere. Caso mai in un decennio si ha un tempo più che sufficiente per programmare, o meglio riprogrammare le aziende alle nuove tencologie.

“L’orizzonte del 2035, per un’industria che deve affrontare una transizione tecnologica senza precedenti, è sostanzialmente inattuabile allo stato odierno. Senza l’indicazione di un’alternativa, o quantomeno l’introduzione di un principio di gradualità, la strada tracciata dall’UE comporterà il blocco degli investimenti nei motori a combustione oltre alla sostanziale chiusura del mercato con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. Solo in Italia si rischia di bruciare oltre 70mila posti di lavoro entro il 2030″.

Che l’industria attenda un’alternativa segnifica che non ha più spirito imprenditoriale, ma si affida alla politica. I mercati si chiuderanno se non si è capaci di soddisfare la domanda di nuove tecnologie.

“Nel ribadire che gli imprenditori italiani sono favorevoli alla decarbonizzazione ma auspicano la neutralità tecnologica per poter esprimere al meglio le proprie competenze e soprattutto tempi di realizzazione del green deal europeo realistici perché l’attuale scadenza rischia di mandare KO il 50% del settore della componentistica, le Confindustrie del Nord chiedono quanto prima un Piano di politica industriale per la transizione del settore Automotive che tenga in considerazione le esigenze delle aziende”.

La soluzione non può arrivare da un piano governativo, ma è già insita nella decisione (peraltro europea) e questa riguarda la capacità di innovare e quella di riconvertire aziende e addetti sui nuovi prodotti e sulla formazione.

“Oltre alle risposte ai dubbi appena illustrati, il Piano dovrebbe prevedere indicazioni su come colmare il gap delle competenze professionali e dovrà porsi l’obiettivo di frenare le spinte delocalizzatrici che saranno inevitabili nel momento in cui l’impresa valuterà più competitivo produrre in quei Paesi, al di fuori dell’Europa, dove sono già ampiamente utilizzate quelle tecnologie necessarie a rendere sostenibile l’elettrificazione, dove sono presenti le competenze per implementarla, e dove i vincoli burocratici non sono dettati dalle ideologie ma dal mercato. Non è attraverso politiche anti-delocalizzazioni che si attraggono imprese sul territorio italiano e si incentivano le imprese del settore automotive ad investire su una corretta transizione ecologica”.

L’eventuale delocalizzazione (improbabile) si combatte innovando e adeguandosi alle esigenze del mercato non certo chiedendo aiuto al Governo Italiano, tenuto conto che il problema riguarda tanto l’Europa quanto l’intero emisfero.
Il grafico che segue evidenzia un quadro abbastanza chiaro per i vari settori, rapportato al 2030 … almeno per quanto riguarda l’occupazione.

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